Gioielli per chi ha autostima: l’ironia minimal di Akiko Kurihara

C’è una lettura in chiave ironica e minimal della corsa allo status symbol, dei vizi e delle tare contemporanee dell’apparire nei gioielli in oro e argento di Akiko Kurihara. L’ironia di creare per esempio una catena d’oro falso in alluminio, dove solo un anello della collana è in oro puro 24kt, pezzo che si intitola “Non è tutto oro quel che luccica”, gemello, nel concept, della collana di perle dove solo una è una vera perla Akoya.

E c’è appunto una ricerca che è il bisogno di qualcosa di estremamente minimal, essenziale e pulito, a contrapporsi ai gioielli d’oro dal design pesante e barocco ai limiti del cafone: nascono così le spille e gli orecchini fluttuanti, che indossati appaiono sospesi nel nulla perché solo la gemma – peridoto, rubino sintetico, topazio e citrino – priva di castone, fa capolino dall’orecchio o dal bavero della giacca.

Il vizio del fumo, qualcosa che oggi è sempre più sintetico e vissuto colpevolmente dietro le volute da effetti speciali delle e-cig, è rappresentato da Kurihara nella sua accezione più viziosa e voluttuosa del ciclo accendi-spegni-accendi, dove sigarette intere e mozziconi di diverse lunghezze in placca oro 24 kt e argento 925 si alternano a creare una collana che di senso di colpa non ne vuole avere.

Trentuno pillole in argento e smalto costituiscono la collana 31 Capsules, una per ogni giorno dei mesi più lunghi, come la dipendenza dai medicinali.

C’è spazio anche per il riciclo intelligente dei materiali, come per le spille “Foglie di Vino”, ricavate da tagli effettuati a mano dalla geniale designer giapponese su bottiglie di vino di diversi colori che parlano della stagione della vendemmia. Sul tema della bella mostra di sé, dello sfoggio di oggetti preziosi e altri status symbol che raccontare l’avere ma non l’essere, Akiko propone una serie di anelli in oro dove il disegno è smaltato all’interno del gioiello, mentre fuori resta di un anonimo nero esistenzialista, come a dire che chi l’indossa deve essere qualcuno estremamente sicuro di sé, certo di portare qualcosa che gratifica solo il proprio io, senza la ricerca affannosa di piacere a tutti tramite effetti speciali.

Qualcosa di unico e di consapevole che mette al centro del design il pensiero critico sulle banalità del quotidiano, vissuto nell’ansia di apparire perfetti ed omologati per non dispiacere a nessuno.